Cantina Menegola, elogio dei vini della Valtellina


di Lorenzo Colombo

Abbiamo conosciuto Walter Menegola nel 2011, quando visitammo la sua azienda in occasione della prima edizione della Guida Slow Wine, l’azienda allora era nata da poco –è nel 2006 che escono le prime bottiglie col proprio nome-, anche se la famiglia di Walter produceva uva e la conferiva sin dal 1850.
Ricordiamo ancora con emozione la visita al vigneto centenario, quello da cui, ancor’oggi provengono le uve per la produzione del Sassella Riserva.

Walter Menegola

Ci siamo ritornati una settimana fa e abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Walter mentre assaggiavamo i suoi vini. Ora l’azienda dispone di 5 ettari vitati, quattro dei quali in proprietà situati a Castione Andevenno, l’altro, in affitto, si trova a Berbenno, ci sono inoltre quattro conferitori, tre dei quali nella zona del Sassella. La produzione annuale s’aggira sulle 50.000 bottiglie il 30% delle quali vengono esportate, i principali paesi sono Stati Uniti, Giappone e paesi del Nord Europa, cinque etichette. Un poco atipico, sia per il vitigno che per la zona, il colore dei vini, sempre piuttosto intenso, Walter sostiene che non è vero che il nebbiolo abbia poco colore, “occorre solamente riuscire ad estrarlo dalle bucce”. 

Rotovinificatore

Atipica anche la fermentazione dei vini che avviene in un rotovinificatore fatto costruire appositamente, non ci risulta che altre aziende valtellinesi l’utilizzino.
Alla nostra domanda sul fatto che questo ci pare uno strumento del passato, legato agli anni ottanta-novanta del secolo scorso, Walter risponde che la notte “vuole dormire” e che questo strumento, utilizzato come fosse un follatore - ovvero le pale ruotano per pochi minuti ogni tre/quattro ore - glielo permette, senza snaturarne i vini né accorciandone la vita. A tal proposito l’assaggio dello Sforzato 2013, attualmente in commercio ce ne darà conferma.

Vigneti


Durante la nostra visita abbiamo potuto assaggiare l’intera produzione, ecco il nostro pensiero.

Vino rosato “Inciso”

Nato in maniera quasi casuale, nel 2013, quando si decise di intervenire sul mosto dello Sforzato, salassandolo, il nome del vino deriva dall’incisore, ovvero colui che ha inciso sulla roccia la figura riportata in etichetta. Prodotto -tramite salasso- da uve Nebbiolo dell’annata 2022. La tecnica del salasso, utilizzata per la prima volta nel 2013 nella produzione dello Sforzato, e che ha dato adito a questo vino rosa, ora viene applicata a tutti i vini aziendali. Al vino non vengono aggiunti solfiti in nessuna fase della lavorazione, la solforosa totale (dovuta alla fermentazione) è di 18 mg/litro.


Color tra il rosa antico ed il ramato, di buona intensità. Di media intensità olfattiva, vi cogliamo leggeri sentori di frutti di bosco macerati ed accenni di tabacco. Alla bocca è un’esplosione di frutta dolce, ciliegia, frutti di bosco macerati, sentori di caramella alla frutta, note d’agrumi. Il vino risulta un poco dolcino, il suo zucchero residuo è di 19 g/litro il che lo colloca tra i vini “amabili”, comunque la sua dolcezza è in parte mitigata dalla buona vena acida. 
Per evitare eventuali rifermentazioni il vino viene microfiltrato prima dell’imbottigliamento. Si tratta comunque di un vino che potremmo definire “poco valtellinese” dove si nota uno scostamento tra le sensazioni olfattive e quelle gusto-olfattive, adatto a quei consumatori poco smaliziati e/o cercano in un vino la semplicità e la facilità di beva. Ne sono state prodotte 8.000 bottiglie che vengono vendute in azienda a 12 euro.

Valtellina Superiore “Orante” 2018

Orante, ovvero l’oratore. Le uve provengono da vigneti con un’età media di 35 anni, situati a Castione Andevenno, tra i 400 ed i 500 metri d’altitudine. Affinato per 12 mesi in botti di rovere francese da 20 ettolitri ai quali seguono 36 mesi di sosta in bottiglia.


Color granato di buona profondità. Intenso al naso dove presenta sentori di radici, sottobosco e leggeri accenni balsamici. E’ caratterizzato alla bocca da un tannino deciso ed un poco asciugante che a tratti rimanda alla pellicina delle castagne crude, buone sia la struttura che la vena acida, sentori di legno. 17.000 le bottiglie prodotte il cui prezzo in azienda è di 17 euro.

Sassella “Rupestre” 2020

Le uve provengono da vigneti di 65 anni d’età situati tra i 400 ed i 500 metri d’altitudine a Castione Andevenno, vinificazione con macerazione di nove giorni, 24 mesi d’affinamento in botti da 20 ettolitri seguiti da due anni di sosta in bottiglia.


Color granato di buona profondità. Bel naso, di buona intensità olfattiva, frutto rosso maturo e dolce, note balsamiche, sentori d’erbe aromatiche. Dotato di buona struttura, buon frutto, bella vena acida e buona trama tannica, accenni di rabarbaro, buona la persistenza su sentori di radice di liquirizia.

Sassella Riserva 2018

Come sopra specificato le uve provengono da un vigneto di oltre cent’anni d’età situato a Castione Andevenno, il vino viene affinato in botti di rovere da 20 ettolitri dove sosta per 45 mesi ai quali segue un lungo periodo di riposo in bottiglia. La produzione è limitata a 3.000 bottiglie il cui prezzo in azienda è di 55 euro.


Color granato di buona profondità. Discretamente intenso al naso, elegante e complesso, leggeri accenni speziati note floreali di fiori essiccati. Dotato di buona struttura e trama tannica importante ma ben integrata, asciutto, bel frutto e buona vena acida, notevole l’equilibrio gustativo, lunghissima la persistenza su sentori di radice di liquirizia.

Sforzato di Valtellina “Duemilatredici”

Si tratta dell’annata attualmente in vendita, la 2015 (che abbiamo peraltro assaggiata) verrà presentata al prossimo Vinitaly. Il vigneto da cui provengono le uve ha 35 anni d’età. Affinato per 12 mesi in barriques nuove e successivamente in botti di rovere da 20 ettolitri per altri 12 mesi, seguono cinque anni di riposo in bottiglia prima della commercializzazione. 4.800 le bottiglie prodotte, vendute in azienda a 55 euro.


Color granato profondo. Bel naso, elegante, buona la sua intensità olfattiva, frutto dolce, ciliegia matura, note balsamiche. Fresco, sapido e succoso, con un bel frutto ed una buona trama tannica, lunghissima la sua persistenza.

Sforzato di Valtellina 2015 (non ancora in vendita – non l’abbiamo fotografato perché ancora senza etichetta).


Granato profondissimo. Più intenso al naso rispetto al vino del 2013, frutto scuro maturo, note floreali. Fresco, con tannino deciso, asciutto, sentori di ciliegia matura e prugna, lunga la persistenza

InvecchiatIGP: Terra di Seta - Chianti Classico 2009


di Stefano Tesi

Quella di Maria Pellegrini e Daniele Della Seta è la classica storia di un cambio di vita che approda nel mondo del vino. E che, sì, se imprime comprensibilmente una svolta netta all’esistenza dei due protagonisti rischia anche - se poi non corroborata da fatti concludenti - di tradursi in un po’ abusato argomento da mero storytelling, come in giro se ne leggono tanti.


Non mi addentrerò troppo, dunque, nella pur bella avventura di lei, vignaiola da generazioni, e di lui, romano di nascita ma con alle spalle un quarto di secolo vissuto da biologo all’Università di Siena, che nel 2000 comprano la proprietà e poi dal 2007, con la costruzione della nuova cantina, iniziano a produrre in proprio con l’etichetta Terra di Seta. Non indugerò nemmeno sul fatto che questa è l’unica cantina in Italia (e in Europa ce ne sono solo due) la cui intera produzione vinicola (circa 50mila bottiglie all’anno) dal 2008 è certificata kosher.


Mi pare molto più importante, in questa sede, sottolineare l’adesione subitanea dell’azienda al biologico, sotto l’ala protettiva di un agronomo-faro in questo settore come Ruggero Mazzilli, e il ricorso a un enologo di spessore come Enrico Paternoster. Siamo dunque in Chianti Classico, comune di Castelnuovo Berardenga, versante UGA “Vagliagli”: 46 ettari in tutto, accorpati, di cui 15 di vigneto, in stragrande maggioranza Sangiovese (“ne abbiamo messo 28 cloni diversi”, spiega Daniele) e un po’ di Cabernet Sauvignon, piantati su suoli di macigno, alberese e porzioni di galestro, dove la quota elevata (500 metri slm) tende a stemperare il tipico calore di certi versanti meridionali dell’area.


E’ in occasione di una bella verticale dei Chianti Classico e dei Chianti Classico Riserva aziendali che mi sono imbattuto in questo sontuoso 2009, che include un 5% di Cabernet Sauvignon. Presentatosi con un bel rubino caldo e l’unghia leggermente aranciata, al naso è penetrante, quasi pungente, con un marcato residuo di frutto, freschezza e screziatura che lo rendono perfettamente pimpante, ma non senza una composta soavità.


In bocca è sapido, ricco e ampio, molto diretto, niente affatto evoluto ed evocatore invece di uno certo stile un po’ antico, familiare, riconoscibile e rassicurante, che emerge soprattutto dai tannini gentilissimi, frutto di legni azzeccati. Quello che, in definitiva, si potrebbe chiamare i perfetto “fatto concludente” in grado di ridare senso e vigore ad una vicenda dove prevale la story e il telling è ai minimi termini.

Terre Margaritelli - Greco di Renabianca 2020


di Stefano Tesi

Il bello delle degustazioni davanti a banchi molto affollati è che puoi assaggiare rapidamente, approfondendo solo se trovi qualcosa di interessante.


Mi è successo davanti a questo Grechetto fermentato in barriques, di bella struttura ma nient’affatto invadente, anzi sapido, cangiante, sfaccettato.

Fattoria Varramista - Toscana IGT "Varramista" 2018


di Stefano Tesi

Non è la prima volta che su questa rubrica io e gli altri IGP ci occupiamo di Varramista, storica fattoria (già Piaggio-Agnelli) di Montopoli Valdarno, sulle Colline Pisane. Dove il vino-bandiera è fin dal 1989 curato e “cullato”, come ebbi a scrivere anni orsono, da Federico Staderini: il Varramista Igt Toscana Rosso, dal 2003 Syrah 100%. 


Il motivo per il quale quest’azienda mi è così cara è duplice. Primo, perché trovo che faccia vini eccellenti, mai banali. Secondo, perché in un enomondo sempre più chiassoso e drogato dall’apparenza come quello di oggi, la sobrietà e l’understatement che la contraddistinguono sono a mio parere un valore aggiunto da apprezzare. Così giorni fa a Cortona, quando in occasione dell’anteprima Sarà Syrah mi sono trovato in lista tra i vini non cortonesi il Varramista 2017, l’ho subito assaggiato volentieri e l’ho trovato tra i migliori del lotto.
Non mi aspettavo però che a cena la funambolica direttrice commerciale Francesca Frediani tirasse fuori dal borsone (un cilindro, viste le dimensioni, non sarebbe bastato) addirittura una magnum del 2018 e, con occhio giustamente scintillante, ce la servisse.

L'azienda vista dall'alto

Allora di colpo ho ricollegato le sinapsi e mi sono ricordato di averla già assaggiata nel 2021 quella bottiglia, quando, al termine di una memorabile verticale 1995-2019, così annotavo: “la magnum esalta la ruvida gioventù e la spigolosità del raspo”. Staderini invece aveva chiosato così: “In questo lavoro ci vuole umiltà e consapevolezza, bisogna fare un passo alla volta, con l’auspicio di ritrovarci nel 2041 per riassaggiare la 2018 e vedere quanto i raspi abbiano favorito l’evoluzione del vino”. Oggi al 2041 mancano 17 anni e l’attesa è un po’ lunga, ma il vino mantiene già alcune delle promesse fatte allora ed esprime anzi l’esuberanza di chi, alle soglie della maturità, ha una personalità già formata ma mantiene il sangue caliente di chi di strada deve farne ancora tanta.


Tradotto vuol dire un colore netto e denso, quasi cupo, un naso profondissimo ed elegante, di una varietalità composta, in qualche modo aristocratica, venato di spezie e fiori da balcone, pulito e asciutto, perfino imperioso nella sua alterigia. In bocca ha l’anima di un cavallo di razza che ha appena smesso il galoppo e si sta lanciando al trotto con passo ampio, di potente coordinazione, vigoroso e sicuro, fiero e nevrile. Una sontuosità che senza dubbio trae giovamento anche dal formato, capace di esaltare le prospettive e di rendere godibile il presente.
Prodotto in edizione limitata di 288 bottiglie, scopro sul sito aziendale si compra a 160 euro. Investimento garantito nel tempo.

Bar Liquid Experience, i fratelli Simeone lanciano il loro progetto di Cucina Liquida!


Bar Liquid Experience è un’attività nel settore Beverage a 360 gradi il cui progetto è portato avanti da due fratelli Alessandro e Sabrina Simeone: Alessandro, Barmanager con esperienza all’estero e in Italia, con un background di cocktail bar rinomati, hotel di lusso e contesti da stella Michelin, mentre Sabrina esperta sommelier e consulente per diverse cantine laziali.


Cosa fanno esattamente? Semplice, sono un
 Bar Catering, ma altresì si occupano anche di Consulenze, Eventi, Formazione e molto altro. Che si tratti di un matrimonio, un evento aziendale o privato, oppure di un evento in un ristorante o cocktail bar, l’obiettivo di questa realtà é quella di personalizzare la proposta drink sulle basi dei gusti e delle esigenze del cliente o del contesto, per far vivere attraverso i nostri servizi un esperienza unica e indimenticabile.


Utilizzano ingredienti freschi e di stagione per le nostre preparazioni homemade, valorizzando così la materia prima e il suo stesso riciclo (zero waste), rispettando i principi di ecosostenibilità; così come i nostri banconi cocktail artigianali realizzati a mano con materiale di recupero, che fanno da cornice in qualsiasi tipologia di location. La vera identità di Bar Liquid Experience é quella di abbracciare il mondo della cucina attraverso il bar, due realtà in perfetta simbiosi che insieme possono regalare sensazioni ed un’esperienza unica nel suo genere.


Proprio per questo nasce CUCINA LIQUIDA: un format di abbinamento cocktail, vino & food (PAIRING), che vuole avvicinare le persone ad una nuova frontiera del gusto, a breve anche attraverso dei corsi di formazione presso la Flair Project di Roma. Non mancheranno anche corsi di avvicinamento al vino, sostenendo collaborazioni con piccoli produttori per dare importanza ai vitigni autoctoni della nostra regione, inoltre con l’arrivo della bella stagione organizzeremo anche degustazioni e pranzi in vigna con diverse cantine per vivere appieno un’esperienza sensoriale a contatto con la natura.


Il loro ultimo evento di “Cucina Liquida”, a cui ho partecipato, si é tenuto presso il ristorante NuAN, capitanato dagli chef Elvio Ferrelli & Luana Lesce, entrambi con un background in contesti stellati. Il ristorante non ha un menu fisso, bensì varia in base alla stagionalità e alla reperibilità dei prodotti sempre freschi e di ottima qualità, selezionando così la materia prima rispettando le sue proprietà.
In questa occasione hanno realizzato un menù di pesce, facendo un costante utilizzo di erbe aromatiche, così come nei vini e nei cocktail scelti per l’abbinamento, dove erbe e spezie hanno fatto da padroni, dando vita ad una miscelazione mediterranea e diventando così essi stessi l’ ultimo ingrediente che andava a completare il piatto.

Alessandro, al centro, e Sabrina a dx

Visitate il loro sito web: wwww.barliquidexperience.com e la loro pagina Instagram: @barliquidexperience per restare aggiornati su nuovi eventi e progetti legati al mondo del cocktail bar e del vino.

InvecchiatIGP: Gaja - Alteni di Brassica 2007


di Luciano Pignataro

Prima di encomiare la perfezione assoluta di questo bianco di Angelo Gaja devo raccontare le circostanze in cui l’ho bevuto. Ebbene si, non in uno stellato, non in una enoteca e neanche a casa di un collezionista: mi è stato servito in una pizzeria, precisamente l’Enopizzeria Via Toledo a Vienna di Francesco Calò.
L’ennesimo segnale di una rivoluzione in atto sotto il naso degli stanchi e routinier uffici stampa del mondo del vino che non hanno ancora capito che non solo nelle pizzerie è in atto una forte tendenza al recupero del vino, ma anche dei vini importanti, importantissimi. Basta fare un salto a Confine a Milano, oppure da Allegrio a Roma o da Vitagliano a Napoli per rendersene conto.
Così, per scherzo, chiedo un vino bianco invecchiato che sono da sempre la mia passione, qualcosa che in Italia, anche qui, è assolutamente sottovalutata dalla stragrande maggioranza dei produttori concentrati a fare il rosso più buono del mondo con un panorama ampelografico di uve a bacca bianca da far invidia.


Ed eccoci allora al bianco di Angelo Gaja, devo dire che mi diverte parlare di un vino bianco di un produttore rossista di una regione rossista nella percezione generale delle persone. Alteni di Brassica si chiama così dall’unione delle parole alteni, i piccoli muretti di pietra che delimitavano i frutteti a Barbaresco e brassica, fiore dal colore giallo brillante che fiorisce nei vigneti. Nel dare il nome ai propri vini Angelo è sempre stato un genio. Non solo in questo, ovviamente.
Parliamo di uno dei primi Sauvignon italiani, piantato nel 1983 in epoca pre-metanolo (ricordiamo che è il 1986 l’anno della tragedia). Una etichetta che si produce ancora oggi, sempre con la stessa uva in purezza.


Il vino si è presentato subito in grande spolvero a cominciare dal colore, uno spudorato giallo paglierino ancora vivo e brillante. Non è stato neanche necessario ossigenare il vino più di tanto grazie al suo perfetto stato di conservazione. Il naso ampio e complesso aveva sviluppato note piacevoli di agrume (cedro) ancora mela, della famosa pipì di gatto che fa ridere gli studenti alle prime lezioni da sommelier neanche una traccia. L’asso nella manica olfattivo sono state le note di affumicato e di idrocarburi che il vino ha sviluppato tutti questi anni in bottiglia. Ma è al palato che lo scatto è stato impressionante: non avrei mai detto che si trattasse di ben 17 anni anche perché ingannato dalla vista. 


Una clamorosa freschezza balsamica, tanta sostanza e una chiusura infinita, lunghissima, pulita e precisa. È un vero peccato non avere le parole adatte per descrivere precisamente le sensazioni, posso solo parlarvi dello stato di benessere che mi ha abbracciato e disteso sin dal primo sorso. Una bottiglia che ha accompagnato alla grande le pizze in assaggio, comprese quelle più ricche oltre naturalmente alle classiche.
La conferma che con i vitigni bianchi, autoctoni o internazionali poco importa si potrebbe fare un grandissimo lavoro alla pari di zone più famose, proprio come è stato fatto con i vini rossi. Non so se mai vedremo anche questa rivoluzione, nel frattempo li prendiamo, li conserviamo e li beviamo con le persone che ne capiscono.

Orlando Obrigo - Barbaresco Riserva "Rongalio " 2016


di Luciano Pignataro

Fuori piove, piove. E io mi faccio coinvolgere dalla finezza di questo Barberesco di una azienda storica, da uve della Menzione Meruzzano, da vigne di 40 anni, affinato 24 mesi in botti grandi. 


Solo nelle migliori annate e, come tutti sanno, la 2016 lo fu: viva, giovanile, finale preciso e lunghissimo.