Ristorante Canapone ovvero come mangiare ottimo pesce a Grosseto - Garantito IGP

Di Stefano Tesi

Ci sono molte ed ottime ragioni per recensire positivamente un classico della ristorazione grossetana come Canapone, locale storico ormai prossimo (2019) al giubileo.
La prima è che è proprio in faccia al Duomo e, con la bella stagione, le sedute all'aperto sotto fresche frasche a pochi metri dalla cattedrale, magari imbandite col crudo di pesce, con una piazza ancora priva di turismo molesto, sono una delizia. 


La seconda è che l'ambiente è ampio, il servizio è puntuale ma non pressante, cordiale ma non invadente nè eccessivamente confidenziale, i tavoli lontani fra di loro, l'arredo elegante, sobrio, salottiero e con quel tocco di fanè quanto basta a fare solida tradizione: understatement, insomma. La carta dei vini è coerente al contesto: ampia ma non monumentale, selettiva ma non ostentatamente esclusiva, ricca di cose inattese senza voler per forza essere sorprendente e, soprattutto, con qualche etichetta di pregio a prezzi quasi di costo: approfittatene! 


La clientela ovviamente è varia, ma ciò che piace (almeno a chi scrive) è la ricorrenza di quella locale o di quartiere, le famiglie educate che vengono a festeggiare qualcosa, il figlio che porta a pranzo la madre anziana, insomma chi fruisce di una commensalità non solo manageriale, o "gourmettiana", o turistica, ma di gente tranquilla che vuole mangiare bene e in pace (merce sempre più rara al giorno d'oggi!).


Ecco, il mangiare, che è ovviamente la ragione principale di questa recensione. La cucina è classica e si divide, vista l'ubicazione geografica del ristorante, tra carne e pesce. Ma di una classicità espressa e gestita con mano leggera, attenta a non confondere il ritocco migliorativo con l'innovazione fine a se stessa. Dimenticate dunque certa "maremmanità pseudoverace" e un po' grossolana che va tanto di moda e gustatevi portate piene di robusta delicatezza come le tagliatelle fatte a mano coi gamberi rossi, le animelle croccanti (un classico della casa), i tortelli ripieni di ragù di chianina, lo scorfano in guazzetto, i menzionati crudi di pesce.


La digestione garantita e pure il conto è digeribile: se non si esagera, per un pasto completo si spendono sui 50 euro. Più le bevute, si capisce.


Ristorante Canapone,
Piazza Dante 3, Grosseto
Tel 0564 24546 o 339 2963558
Chiuso la domenica

Vinix Tour – Lazio

Un tour nazionale in 20 tappe che tocca tutte le regioni italiane tra aprile e dicembre 2018. E’ questo l’ambizioso progetto varato da www.vinix.com il social commerce wine & food che consente alle persone di acquistare in gruppo con gli amici da un catalogo di eccellenza risparmiando fino al 51% reale rispetto ai canali tradizionali.


Venti tappe, una per ogni regione italiana, ospitate per la maggior parte dalle stesse aziende facenti parte del catalogo Vinix e per una piccola parte in ristoranti locali scelti. Fanno parte del tour anche due date speciali, una a Roma il 12 maggio e una a Milano il 1 dicembre dove si terranno due banchi d’assaggio più grandi con alcune decine di produttori del catalogo presenti personalmente. Il format è molto semplice: ad ogni tappa, aperta a tutti, la possibilità di visitare l’azienda ospitante e di assaggiare i prodotti delle aziende ospiti in un clima molto informale con la possibilità di approfondire il funzionamento del sistema di acquisto Vinix grazie alla presenza diretta del fondatore, il chiavarese Filippo Ronco e dei referenti dei principali gruppi locali.

La tappa laziale si terrà sabato 12 maggio 2018 dalle 14 alle 20.00 circa presso l’Hotel Radisson Blu Es di Roma (Via Turati, 171). 


Orari: dalle 14.00 alle 20.00 circa

Ingresso: 15,00 euro comprensivi di banco d'assaggio, calice riedel a perdere, tracolla e piccoli assaggi gastronomici durante la giornata

Vinix è un sistema di automazione della vendita diretta per produttori selezionati che in soli 5 anni è riuscito a coprire tutto il territorio nazionale con un tasso di crescita su vendite e fatturato a doppia cifra anno dopo anno. Oltre 70 produttori già a catalogo con quasi 1.000 referenze disponibili, 300 gruppi geolocalizzati, 50.000 le unità movimentate nel 2017, 1440 unità la dimensione delle cordate più grandi.

Pravis - Vigneti delle Dolomiti Nosiola IGT “Le Frate” 2017 è il Vino della Settimana di Garantito IGP

Di Luciano Pignataro

Siamo abituati al vino santo con la Nosiola, vitigno auotctono prodotto soprattutto a Nord del Lago di Garda. 


Ma questa versione secca degustata al Vinitaly ci ha affascinato, naso ricco, fruttato, palato secco, freschissimo, persistente.
www.pravis.it

Fiano di Avellino 1993, nozze d’oro con Mastroberardino - Garantito IGP


Di Luciano Pignataro

Tanti bianchi resistono, il Fiano di Avellino evolve grazie alle caratteristiche del vitigno che fanno del tempo non un ostacolo da superare anno dopo anno ma un alleato. Non avevamo dubbi di trovarci di fronte ad una bella esperienza quando ci siamo trovati di fronte a questa bottiglia uscita dalla cantina lucana di Peppe Misuriello, patròn dell’Antica Osteria Marconi di Potenza che ha appena preso in gestione Locanda Severino a Caggiano. Da sempre nel mondo del vino, prima con l’enoteca poi con il ristorante, Peppe è stato uno di quelli che ha comprato senza esitazione quando lo si poteva fare senza fare mutui in banca e, soprattutto, tra i pochi ad avere il vizio di conservare vecchie bottiglie.


Ecco allora da dove esce questo bianco irpino nella bottiglia renana, poi andata in disuso perché non si trovava con le moderne geometrie commerciali. Peccato, perché quando te la trovi di fronte pensi subito di bere un bianco importante. Nel 1993 non esisteva Facebook, per comunicare si usava il telefono e l’Italia stava appena per imboccare la strada del declino mentre il mondo del vino andava in direzione esattamente opposta nonostante tutto: investimenti a lungo termine, ricerca, miglioramenti e innovazioni in campagna e in cantina, cura della presentazione delle bottiglie e delle cassette. Una rivoluzione insomma, che ha visto coinvolta tutta la viticultura italiana da Nord a Sud in un moto unico e che ancora oggi fa del vino la punta di eccellenza dell’agroalimentare.

La cosa impressionante di questa bottiglia è che non è stata progettata per essere bevuta dopo un quarto di secolo, per la verità nemmeno dopo un anno. All'epoca si usciva in commercio il prima possibile e questa base, dalle sei alle settemila lire poi diventate 6-7 euro, non aveva alcuna presunzione. La grande intuizione della famiglia Mastroberardino fu di comprendere che Lapio era una zona vocata e i contadini furono incoraggiati a piantare il Fiano.


Già il tappo, perfetto e intero, annuncia l’integrità del vino che si presenta di un colore giallo paglierino carico ancora vivo. I profumi sono tipici del Fiano di Avellino invecchiato: frutta bianca evoluta, note fumé e di idrocarburi, tono della beva sapido e amaro, nessuna dolcezza ma tanta freschezza che regge bene il corpo del vino mantenendolo in gran forma.
L’ennesima dimostrazione delle enormi potenzialità di questo vitigno coltivato in Irpinia, zona di freddo da sempre molto vocata. Siamo convinti, infatti, che siamo appena al dieci per cento di quello che si potrebbe fare anche se in tanti ormai escono dopo almeno un anno dalla vendemmia. Cosa manca per mettere a reddito enologico questo patrimonio? Anzitutto un uso del legno graduato e ben studiato, l’individuazione dei Cru e la capacità di stoccaggio di almeno un anno.

Bevute come questa del 1993 oltre ad avere la capacità di trasmettere emozioni e piacere, spingono appunto a queste riflessioni.

Vernaccia di Oristano DOC 2005 "Flor" - Contini

Di Carlo Macchi

Non siamo a Jerez ma a Cabras, non nasce dal palomino fino ma dalla vernaccia di Oristano. 


Non è di certo la stessa flor dello sherry, ma questo vino finissimo, profumato, elegante e profondo, non ti fa rimpiangere nessun vino che nasce a Jerez de la Frontera, anzi! Vino eccezionale dal prezzo eccezionale!!

info@vinicontini.com


Lenticchie alla julienne: quando Antonio Albanese impersona il più grande chef del mondo - Garantito IGP

Di Carlo Macchi

Per non emulare il moscerino che crede di essere utile alla vita dell’elefante mi faccio una domanda e mi do una risposta. 

Domanda: “A cosa serve una recensione di Carlo Macchi ad un libro di Antonio Albanese?”

Risposta: “Dal punto di vista delle vendite del libro assolutamente a niente!”

Chiarito questo punto iniziamo a parlare di Lenticchie alla julienne che ha come sottotitolo “Vita, ricette e show cooking dello Chef Alain Tonné - forse il più grande-"


Come capirete questo è un libro di ricette come il Kamasutra è un orario ferroviario: naturalmente non è una storia vera ma potrebbe esserlo e non è detto che, purtroppo, non lo sia.

Certo è che Alain Tonné rappresenta non solo la quintessenza (anche la sesta, esageriamo) della tanta fuffa con cui si gozzoviglia  nel mondo della “grande” ristorazione, ma purtroppo anche tanta Italia, con la sua furbizia, ignoranza, supponenza, protervia, semplicità  e naturalmente con l’immancabile sale rosa dell’Himalaya. Questo prodotto, mai mancante nelle molte non-ricette (almeno spero lo siano, ma non ci giuro) da cui è composto il libro, è veramente il filo conduttore dell’opera, forse perché potrebbe servire a mettere un po’ di sale in zucca (zucca presalé naturalmente) al lettore.


Ma basta con le ciance e parliamo del più grande chef del mondo, un personaggio di cui leggendo il libro potrete scoprire i molteplici e rabdomantici pregi culinari: io mi fermo ad un difetto, illuminante “…non era mai stato molto portato per la politica. Non aveva mai capito fino in fondo se i partiti arrivassero, perché al primo ministro non seguisse un secondo né un contorno, perché il parlamento avesse solo due camere ma svariati bagni.”
A parte la sua ignoranza politica Alain è invece ferratissimo nell’arte culinaria, in particolare in quella branca innovativa, misterica, sensazionalista, assolutista, gigionesca, arlecchinesca che è specializzata in show cooking, perfomances, seminari gastronomici, cene a tema e a problema.


Il libro, scritto con una penna tagliente come una coltello da cucina katana (esiste? Boh) e godibile come due etti di buon culatello (esiste? Oh Yes!), viaggia da una ricetta “mission impossible” all’altra, da una storia inquietante quanto comica all’altra, da un alito di sale dell’Himalaya ad un cucchiaio di zucchero salato dell’ Himalaya.
Qualcuno potrebbe dire “Ma è assurdo!” e avrebbe assolutamente ragione, perché forse il messaggio che sta sotto a tutto questo sale dell’Himalaya, a 800 grammi di mandorle depilate da una filippina bipolare, a lenticchie selezionate da vergini altoatesine,  a del peperoncino essiccato in un bunker con wifi e agli altri moltissimi ingredienti usati da Alain, è che stiamo vivendo in un mondo dove l’assurdo paga e la razionalità annoia e non è di moda.

Non vi annoierete invece leggendo, accanto alle ricette, le varie storie del più grande chef del mondo “l’unico a quattro stelle”, che solcherà con passo deciso non solo show cooking ma anche cene in onore di mafiosi latitanti, Biennali di Venezia, raduni di vecchi compagni di scuola e Forum di Davos, fino al tragicomico finale di un comico-tragico libro sul tragicomico mondo della grande ristorazione, quella da quattro stelle in su e non solo.


Oh, se vedete Albanese, non gli dite che ho scritto queste righe. Magari per punirmi potrebbe invitarmi ad uno show cooking del maestro Alain e non niente da mettermi.

Antonio Albanese, Lenticchie alla julienne, Feltrinelli Editore, 15 euro

Taste Alto Piemonte 2018: le vecchie annate

A corollario della degustazione tecnica riservata ai giornalisti, che ho raccontato in questo articolo, Taste Alto Piemonte ha organizzato nel pomeriggio del sabato anche un seminario sulle vecchie annate dei vini con lo scopo di far scoprire, a quei pochi che ancora non lo sapessero, come le DOC e le DOCG di questo territorio riescano ad evolvere egregiamente nel tempo grazie alla loro anima nebbiolesca. Di seguito le mie note di degustazione:

Colline Novaresi Nebbiolo DOC "Giulia" 2009 - Enrico Crola: il nebbiolo di questo bravo produttore sa di mallo di noce, legni pregiati, terra rossa e ruggine. Al palato l'evoluzione del vino garantisce equilibrio e ancora tanta sostanza. 


Fara DOC 2011 - Castaldi Francesca: l'avevo già provato a Roma questo vino durante la tappa romana di Taste Alto Piemonte e, come allora, mi emoziona la sua anima aromatica un po' naif condita da un sorso succoso e dai ritorni di genziana ed erbe aromatiche. 

Bramaterra DOC 2007 - Antoniotti: la sua parabola evolutiva sembra quasi giunta al termine ma questo vino ancora graffia e fa vibrare i nostri sensi. Sapidissimo il finale che non molla un centimetro.

Bramaterra DOC 2006 - Colombera & Garella: vino di complessità e profondità ancora dirompente, sa di radici e terra, pepe e tabacco. In bocca è ancora vibrante, teso, giovanissimo. Da conservare ancora per anni.

Lessona DOC 2008 - Clerico Massimo: al mio posto ci vorrebbe un grande romanziere per descrivere adeguatamente questo vino che per eleganza e finezza sembra essere una ballerina di danza classica del Teatro Bol'šoj


Lessona DOC "San Sebastiano allo Zoppo" 2005 - Tenute Sella 1671: irresistibile per intensità di spezie ed erbe aromatiche, è dotato ancora di un corredo aromatico di frutta e fiori rossi e, soprattutto, di un sorso vivissimo che accoglie e si distende, per dirla come una canzone di Raf, "interminatamente"!!!

Boca DOC Il Rosso delle Donne 2006 - Castello Conti: da un vino, come dice anche l'etichetta, tutto al femminile ti aspetti una risposta tutta grazia e cortesia ed invece questo Boca, con i suoi continui rimandi alla ghisa e alla ruggine, colpisce per austerità e mascolinità. Sorprendente!

Boca DOC Vigna Cristiana 1997 - Podere ai Valloni: purtroppo la bottiglia servita non era al 100% per cui sospendo il giudizio su questo vino.

Boca DOC 1996 - Vallana: anche questa bottiglia non era al 100% per cui sospendo il giudizio.

Ghemme DOCG 2007 - Ca' Nova: Giada sa perfettamente che questa annata probabilmente è ad oggi nel pieno della sua forma e da brava padrona di casa la elargisce a noi degustatori affamati di bellezza enologica mandandoci in visibilio. 

Ghemme DOCG Ai Livelli 2007 - Mazzoni Tiziano: altro esempio illuminante di come un grande vino del territorio può evolvere per oltre 10 anni garantendo al tempo stesso vivacità , profondità e territorialità fino al midollo. Certezza assoluta.

Ghemme DOCG 2006 - Mirù: il naso, sensualissimo, è un girotondo aromatico composto da frutta matura, spezie e soffi balsamici. Gusto in netta contrapposizione visto che alla femminilità e alla ricercatezza aromatica il sorso contrappone ancora durezze che solo il tempo potrà rendere giustamente equilibrate. Giano bifronte.

Ghemme DOCG 2004 - Torraccia del Piantavigna: vino ancora esuberante e corredato da un naso intenso, ampio, dove il cassis, la viola, la frutta secca e la scorza di arancia amara giocano a rincorrersi per poi tuffarsi all'interno di una struttura solida dotata di fitta trama tannica, setosa e finissima. Sontuoso il finale sapido.


Ghemme DOCG "Chioso dei Pomi" 2001 - Rovellotti: dalla serie quando il gioco si fa duro arriva in tutta la sua irruenza giovanile il Chioso dei Pomi che per dinamismo, freschezza e proporzioni sembra non essere secondo a nessuno. Un vino simbolo che non ha paura di misurarsi con i grandi del Piemonte.

Ghemme DOCG 1999 - Ioppa: azienda tutta da scoprire questa dei fratelli Ioppa così come da scoprire è questo grande nebbiolo che arrivato alla soglia dei venti anni rimane compatto, carnoso e dotato di un sorso da fuoriclasse per trama tannica e proporzioni acido-sapide che rendono il sorso assolutamente continuo sfociando in una persistenza aromatica assolutamente coerente ed incredibilmente lunga.

Ghemme DOCG "Ronco al Maso" 1997- Platinetti Guido: non è la prima volta che ho la fortuna di bere questo vino che, anno dopo anno, nonostante la sua età anagrafica, riesce a sorprendermi lasciandomi costantemente a bocca aperta per integrità e territorialità. Il naso è un caleidoscopio di aromi secondari e terziari dove ritrovo, netti, i profumi di erbe aromatiche, ruggine, terra, sale iodato, noce, spezie rosse, genziana, liquirizia dolce e arancia amara. La struttura del vino è ancora solida, composta, rigorosa e di grande piacere. Vorrei vederlo, alla cieca, accanto ad uno dei grandi vini italiani pari annata. Oh, come mi divertirei....


Gattinara Riserva DOCG 2008 - Il Chiosso: vino scorbutico ed austero che svela toni di torrefazione e spezie per poi aprirsi su aromi di mineralità rossa e viola disidratata. Al gusto conferma rigore e struttura ma, probabilmente l'anna non troppo felice, risulta un po' troppo poco dinamico denunciando una persistenza non proprio da record.

Gattinara DOCG "Molsino"  2006 - Nervi: vino diametralmente opposto al precedente, molto disteso e con grande anima "pop" che ha come tallone di Achille un legno non troppo digerito con conseguente finale un po' troppo amaricante.

Gattinara DOCG "Borgofranco" 2005 - Cantina Delsignore: nebbiolo di grande espressione e dinamismo che libera in progressione sentori olfattivi leggermente terziari ma assolutamente tipici che vanno dalla terra bagnata alla rabarbaro, dall'agrume candito fino ad arrivare alle spezie rosse e al porfido. Al gusto di ammira per equilibrio, sapidità, tannini che non mollano e ottima chiusura. 

Gattinara DOCG "Osso San Grato" 2005 - Antoniolo: Lorella Zoppis mi ricorda sempre  che "bocciai" questo millesimo quando organizzai a Roma la verticale storica di questo importantissimo Cru di Gattinara. Col senno di poi, ricordando che questo millesimo è stato caratterizzato da una brutta gelata primaverile e da un settembre non propriamente esaltante, posso dire che, pian piano, la 2005 di Osso San Grato sta iniziando a distendersi non tanto nell'elegante corredo aromatico da grande nebbiolo del nord, quanto nella parte gustativa dove il tannino progressivamente si sta sciogliendo regalando una beva tanto impeccabile quanto sorprendente anche per una piacevolissima persistenza agrumata. Il gigante si starà svegliando?



Roccamonfina Rosso IGT “Masseria Cacciagalli” 2012 - I Cacciagalli è il vino della settimana di Garantito IGP


di Roberto Giuliani

Non ci si svena ad acquistare questo vino, una ventina di euro. Ne vale la pena sotto tutti i punti di vista. 


Diana Iannaccone ci regala un aglianico intenso, profondo, terroso, con una succosità travolgente e un tannino quasi soffice, è un piacere berlo e qualunque tentativo di autocontrollo è vano.


Mossio, Dolcetto d'Alba Bricco Caramelli 2011 - Garantito IGP

Di Roberto Giuliani

Se si trattasse di un Barolo, un Brunello di Montalcino o un Taurasi, nessuno darebbe importanza all'annata 2011, ma qui stiamo parlando di un Dolcetto d'Alba! Ancora pochi sanno che questo vino, soprattutto se proveniente da vigne di grande spessore, è capace di evolvere bene per molti anni.


Nel 2012 pubblicai per Garantito Igp una bellissima verticale del Bricco Caramelli di Valerio e Remo Mossio di Rodello, dalla 2010 indietro fino alla 2005. Oggi stappo per voi la 2011, a sette anni dalla vendemmia e sei dalla messa in commercio. Il Bricco Caramelli è un vero e proprio cru, si trova a 470 metri di altitudine e viene curato come un figlio, pianta per pianta, nelle annate difficili vengono usati solo rame e zolfo di cava; in cantina subisce una macerazione di circa 10 giorni, completata la fermentazione matura alcuni mesi in acciaio e poi altri due in bottiglia, niente filtrazioni e niente stabilizzazioni.


La prima cosa che colpisce nel calice è il colore: rubino cupo, solo all'unghia appare il granato; al naso si apre poco alla volta, su note di viola e prugna, poi arriva l'amarena in confettura, il cacao, la menta, un filo di tabacco e venature terrose, di grafite e liquirizia.

Al palato impressiona per la freschezza e una struttura piena, quasi grassa, salina e avvolgente nel frutto maturo, non c'è alcun segno di cedimento, il vino ha un equilibrio quasi perfetto e tiene la barra dritta, senza esitazioni, il finale è profondo, lungo e appena amaricante, tratto tipico del dolcetto.

Avercene una cassa...


Il vino in Cina: gli studi Mediobanca presentati al Vinitaly svelano rischi e opportunità


Tutti i produttori di vino con propensione all'export guardano alla Cina come la grande occasione del presente e del futuro, ma il gigante asiatico potrebbe anche essere una grande minaccia per il settore. Dalla ricerca dell'Area studi di Mediobanca che viene presentata ogni anno in occasione del Vinitaly, emerge infatti che l'import cinese di vino è salito dal 2012 del 75%, ma anche che negli ultimi vent'anni la quantità di vigneti impiantati nel Paese è cresciuta di oltre il 400%, esattamente del 407%.

Anche i consumi in Cina sono in aumento, ma nello stesso periodo la crescita è solo del 62% a 11,4 milioni di ettolitri, quindi a un tasso molto inferiore rispetto alla quantità di vigneti impiantati. E' vero che nel 1995 (anno dal quale partono i dati della ricerca Mediobanca) le vigne nel gigante asiatico erano quasi assenti, ma questa differenza sta a significare che la Cina - dove per ora si produce vino di scarsa qualità spesso con aggiunta di distillati e zucchero per il mercato interno - ha una potenzialità produttiva inespressa ancora enorme.
In ogni caso l'Italia nel cruciale mercato cinese, con le conosciute difficoltà e opacità distributive, è ancora molto indietro: l'anno scorso il primo importatore in Cina è stato la Francia con 973 milioni di euro in valore, seguita dall'Australia a 640 milioni in aumento del 23% in un solo anno e che potrà presto sfruttare l'area di libero scambio tra i Paesi dell'area che comprende anche Pechino. Il Cile è terzo a 290 milioni, la Spagna quarta a 171 e le etichette italiane solo quinte a quota 143 milioni di vendite.

Foto: stamptoscana.it

Secondo le proiezioni dell'Area studi di Mediobanca, i dazi che la Cina potrebbe applicare ai vini statunitensi porterebbero ai produttori italiani un beneficio piuttosto limitato (circa cinque milioni nell'ipotesi più estrema), ma anche la decisione della Brexit ha per ora avuto un impatto nullo. L'anno scorso in valore le nostre esportazioni sono cresciute del 6% nel Regno Unito, un mercato che per il 'made in Italy' è il terzo mondiale a oltre 800 milioni di euro, preceduto solo dalla Germania (985 milioni) e da quello statunitense (1,7 miliardi).

Fonte: Ansa

Emiliano Fini – Lazio Malvasia Puntinata IGT “Libente” 2017


Di Andrea Petrini

Vinificare una malvasia puntinata in purezza è già una scelta ardua, produrla anche buona è un miracolo, ma il suolo vulcanico dei Colli Albani aiuta molto le potenzialità di questa prima annata di Libente il cui nome nasce dall’unione dei due venti che battono con intenti opposti delle vigne gestite con amore da Emiliano Fini che da promessa, spero, diventi presto certezza del vino del Lazio.

Le Macchiole: andata e ritorno - Garantito IGP

Me lo ricordo bene quel dicembre del 2009, visitare Le Macchiole è stata un'esperienza unica perché da illustre sconosciuto quale ero (e continuo ad essere), Cinzia Merli mi dedicò quasi una intera giornata portando me e i miei compagni di bevute in giro tra vigne e cantina regalandoci parte del suo tempo anche a pranzo dove si degustarono vecchie annate di Scrio, Paleo e Messorio.

Da quell'inverno di otto anni fa, ovviamente, qualcosa è mutato: io, ad esempio, sono diventato estremamente saggio mettendo qualche capello bianco in più ma, tornando seri e parlando de Le Macchiole, anche Cinzia, al fine di migliorare un progetto in continuo divenire, ha dato vita ad alcuni cambiamenti significativi. Non c'è più lo storico consulente enologo Luca d'Attoma (la sua ultima vendemmia è stata la 2014) che in cantina è stato sostituito da Luca Rettondini che va a rimpolpare una squadra di giovani innamorati del proprio mestiere tra cui Elia, il primogenito di Cinzia, che da qualche anno sta affiancando Massimo Merli nella conduzione dei vigneti mentre Mattia, il figlio più piccolo, si sta progressivamente avvicinando al vino e farà parte dello staff aziendale nell'immediato futuro.


Oltre alle persone, rispetto alla mia ultima visita, il rinnovamento ha colpito anche i 27 ettari di vigneti (recentemente c'è stata l'acquisizione di una piccola parcella di syrah), condotti in  maniera BIO dal 2002, che negli ultimi cinque anni hanno subito una importante innovazione: se, infatti, da una parte si sta sperimentando la diminuzione delle quantità di rame e l’eliminazione dello zolfo con l’ausilio dei cosiddetti induttori di difesa, dall'altra Massimo ed Elia stanno cercando anche di coltivare le piante secondo i principi della biodinamica attraverso l'introduzione dei due principali preparati ovvero il 500 (cornoletame) per migliorare la vitalità del terreno e il 501 (cornosilice) per la parte aerea delle piante e per il frutto. In alcune circostanze sono inoltre utilizzate propoli, valeriana e ortica in aiuto alla difesa fitosanitaria.   


Quando con Cinzia entriamo in cantina mi accorgo che, rispetto al passato, probabilmente è proprio in questo locale che ci sono stati i cambiamenti più importanti: parte dei tank di acciaio per la fermentazione dei vini sono state sostituiti da vasche di cemento e, girando tra barrique e tonneaux di nuovo e vecchio passaggio, la voglia di sperimentare della Merli la possiamo toccare con mano quando incontriamo nella nostra strada due Clayver, ovvero due contenitori di forma sferica prodotti con un particolare gres, che Rettondini sta valutando per quanto riguarda l'evoluzione di una parte del cabernet franc e del merlot che andranno a comporre i futuri Paleo e Messorio che, come tutti gli altri vini della gamma aziendale, si sta cercando, nel rispetto delle annate e del territorio, di rendere meno opulenti e più "verticali" anche grazie, come accade oggi col Messorio, a nuove tecniche di vinificazione usando, tra l'altro, botti di legno grande.

“Raccontare come nascono le etichette Le Macchiole è sempre difficile – spiega Cinzia – perché è come descrivere i propri sentimenti più profondi. Sono infatti le emozioni quelle che ci guidano nel momento in cui un vino prende forma: tanti gli assaggi che si fanno, tanti i momenti di discussione, tante le autocritiche… momenti importanti perché fanno parte della nostra vita professionale ma anche, e soprattutto, personale. Perché gli aspetti fondamentali per chi lavora a Le Macchiole sono la condivisione e la partecipazione.
Quando ci troviamo tutti insieme davanti alle vasche e ai tagli da degustare siamo pronti a metterci in gioco, ad esternare i nostri pensieri, a confrontarci, a volte in modo anche deciso, su dove vogliamo arrivare e sui risultati da ottenere. Credo sia questo il passaggio chiave nella produzione dei nostri vini: è il vino a dover parlare. A noi spetta solo il compito di amplificare la sua voce”.



A Le Macchiole l'unico punto fermo, anche a distanza di otto anni, è la bellissima sala degustazione allestita da Cinzia, Elia e Mattia per dar vita a due mini verticali di Paleo e Messorio precedute dall'assaggio dell'ultima annata dei due piccoli di famiglia ovvero del Paleo Bianco e del Bolgheri Rosso. Con me e Stefania ci sono anche altri importantissimi ospiti: Roberto Giuliani di Lavinium e, per OhmywineAndrea Matteini assieme ad Anita Franzon.

Paleo Bianco 2016 (chardonnay 75%, sauvignon 25%): in tema di cambiamenti questo è un vino che, nel corso degli anni, ha subito una mezza rivoluzione visto che il sauvignon, prima prevalente, è diventato l'uva minoritaria del blend dove oggi prevale decisamente lo chardonnay. Questo bianco, la cui prima annata risale al 1991, sorprende per il suo carattere mediterraneo dove, accanto alle sensazioni agrumate ed erbacee, gioca un ruolo fondamentale la sapidità che rende la beva decisamente accattivante tendendo a smorzare  e ad ingentilire il carattere solare del vino. Nota tecnica: vinificazione in barrique per 10 gg e successivo affinamento per 7 mesi, 30% barrique nuove e 70% in barrique 2° e 3° passaggio.


Bolgheri Rosso 2015 (merlot 50%, cabernet franc 30%, cabernet sauvignon 10%, syrah 10%): raffinati profumi di erbe aromatiche e frutta rossa di rovo vanno ad ingolosire un quadro aromatico le cui sensazioni ritrovo anche al sorso dove ritrovo quell'equilibrio e quella bevibilità che sono oggi, sempre più, stanno diventando i marchi di fabbrica de Le Macchiole. Bellissima versione di questo vino che, più di altri, rappresenta un importante approccio ai grandi rossi di Bolgheri. Nota tecnica: vinificazione in acciaio per 15 gg ed affinamento per 11 mesi per l'80% in barrique di 2 ̊ e 3° passaggio mentre il restante 20% avviene in cemento.


Paleo Rosso 2010 (100% cabernet franc): da una annata fredda come la 2010 nasce un vino il cui primo impatto olfattivo, giocato su intense sensazioni vegetali, potrebbe un po' deludere per via di una certa piattezza aromatica. La sorpresa, come avviene sempre per i grandi vini, arriva col tempo, aspettando che questo Paleo si apra esplodendo in avvolgenti note di mora matura, spezie orientali, chiodi di garofano e ricordi minerali. Bocca elegante, con dolci tannini ed una lunga chiusura sapida definiscono la chiusura del cerchio per uno dei migliori Paleo degustati negli ultimi anni. Nota tecnica: vinificazione in cemento per 30 gg ed affinamento per circa 20 mesi (70% in barrique nuove e 30% in barrique 2° passaggio).


Paleo Rosso 2012 (100% cabernet franc): l'annata calda, anche se interpretata al  meglio, si fa sentire visto che questo Paleo, rispetto al precedente, si caratterizza per una maggiore morbidezza percettibile già all'olfattiva dove le note di ciliegia nera, amarena, lampone, ricordi di mirto e pepe tendono ad avvolgere i sensi in maniera ammiccante ed estroversa. Al palato è avvolgente, con tannini dolci e irruente freschezza che smussa la carica fruttata del vino rendendo la beva decisamente agile.


Paleo Rosso 2013 (100% cabernet franc): la carica vegetale del cabernet franc, causa annata equilibrata, mi sembra molto più nascosta rendendo questo Paleo decisamente complesso e sfaccettato anche se, causa gioventù, tutti gli aromi sono ancora (troppo) nascosti. Nonostante l'alcol, siamo sui 15 gradi, il sorso è agile, di centrato equilibrio e gode di tannini ben sciolti e di un finale ricchissimo e di lunga persistenza. Da tenere d'occhio per il futuro, per me darà grandi soddisfazioni.


Messorio 2008 (100% merlot): questo vitigno a Bolgheri assume sempre connotati mediterranei ma mai scontati così come questo Messorio che ha un profondo e stratificato naso di mora, visciola, legno di cedro e spezie orientali. Al palato è avvolgente, decisamente morbido, ricco di tannini perfettamente maturi e sapidità che si ritrova anche nel finale dove ritornano, travolgenti, le sensazioni di frutta rossa mediterranea. Vino muscolare ma dalla grande beva. Nota tecnica: fermentazione e macerazione parte in acciaio e parte in tini di legno per 25 giorni. Affinamento:14/16 mesi in barrique.


Messorio 2011 (100% merlot): rispetto al precedente ha un impatto olfattivo ancora più carnoso e suadente, il caldo dell'annata si fa sentire nella maggiore concentrazione aromatica che seduce con aromi fittissimi di mirtillo, prugne, sensazioni di macchia mediterranea, toni di torrefazione e tabacco da pipa. In bocca esibisce forza ed equilibrio grazie ad un tannino perfettamente integrato che, assieme alla vena acida del vino, dirige la degustazione verso una chiusura lunghissima ed inebriante di profumi fruttati. Nota tecnica: fermentazione e macerazione parte in acciaio e parte in tini di legno per 25 giorni. Affinamento:14/16 mesi in barrique.


Messorio 2013 (100% merlot): inizialmente chiuso a riccio, ha bisogno di tanto tempo per aprirsi mostrando tutte le sue potenzialità future che sono rappresentate dalla classica trama aromatica ricca di frutta nera, erbe aromatiche, fiori rossi e cuoio. Al gusto si capisce che la materia di cui si compone è di grande qualità anche se ancora in fase di assestamento, ciò che è certo è che si percepisce con questa annata che Cinzia sta lavorando molto su questo vino che, rispetto al passato, è sicuramente più dinamico e "verticale" grazie anche ad un cambiamento della vinificazione (ora in acciaio e cemento termocondizionato) e dell'affinamento (ora in barrique di primo e secondo passaggio). Difficile dire ora quanto sarà "bello" questo vino, so solo che gli amanti del Messorio non potranno non apprezzare questo merlot dal vestito ancora più elegante e regale. 


Paltrinieri - Lambrusco di Sorbara Riserva Brut Lariserva 2014 è il Vino della settimana di Garantito IGP

Di Angelo Peretti

Nocciole appena raccolte. Fresche, a manciate. Un accenno della crosta di pane uscito da poco dal forno. La vena floreale, il carattere citrino. Ondate di sale.


La bolla cremosa. Il colore della buccia di cipolla guardata in trasparenza. Quando il Lambrusco è spettacolare. Il Sorbara ai suoi massimi.